Perché i Bitcoin contrastano la transizione ecologica

In breve

Tesla ha annunciato nei giorni scorsi di aver utilizzato una parte della liquidità, che alla fine dello scorso anno ammontava a 19 miliardi di dollari, per effettuare un investimento in Bitcoin per il valore di 1.5 miliardi di dollari e che accetterà dagli acquirenti delle sue auto anche pagamenti in criptovaluta.

La notizia ha suscitato grande sorpresa e da parte di molti sono stati sollevati dubbi sull’opportunità della decisione. Le ragioni dell’investimento sono rintracciabili in un fascicolo aperto dalla SEC, la Securities and Exchange Commission, nel quale Tesla precisa di aver effettuato l’acquisto per diversificare e per ottenere la massima resa dalla liquidità disponibile. L’operazione sarebbe avvenuta a gennaio e non è noto quale fosse la quotazione del Bitcoin all’epoca. Pare tuttavia che dopo un guadagno che ha toccato un massimo di ottocento milioni di dollari sia seguito poi un brusco calo dovuto alla grande volatilità della criptovaluta.

Al di là della validità o meno dell’investimento finanziario in sé, quello che interessa qui è fare alcune considerazioni più direttamente legate agli aspetti ambientali. La mission dichiarata di Tesla è di accelerare la transizione mondiale verso l’energia sostenibile. Non il profitto, come per le altre case automobilistiche, ma rivoluzionare il mercato e segnare la fine dell’era del petrolio. E il punto è proprio questo, cioè che le criptovalute sono considerate quanto di più lontano può esserci dalla transizione ecologica e quindi dalla mission di Tesla. Per comprenderne le ragioni occorre però aprire una parentesi per definire cosa sono le criptovalute, cosa sono i Bitcoin e come vengono prodotti.

Concepita da un anonimo personaggio che si fa chiamare con lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto, la criptovaluta Bitcoin viene lanciata nel 2009 con la promessa di poter utilizzare una valuta criptata per effettuare transazioni finanziarie in anonimato e senza dover più utilizzare l’intermediazione di una banca di fiducia tradizionale. L’onere di fornire le garanzie sulle transazioni effettuate tramite criptovalute viene ora distribuito fra tutti gli utenti. Il Bitcoin però porta con sé alcuni inconvenienti che ne impediscono per ora il successo su vasta scala. Tra questi la mancanza di un gestore responsabile, la tassazione, l’estrema volatilità e infine l’impatto ambientale.

Il funzionamento della criptovaluta si basa sulla tecnologia “blockchain”. Esclude quindi l’intermediazione, cioè la garanzia e il controllo fornita da un ente terzo come ad esempio una banca, e si basa invece sul “mining”, ossia l’elaborazione, la cifratura e la conservazione di tutte le transazioni in un registro che è presente in copia sui computer di tutti gli utenti.

L’operazione di mining è impegnativa, richiede grande capacità di calcolo ed ha quindi un costo che procura un guadagno che va a finire nel portafoglio, il wallet, dei “miner” che la svolgono. Ogni transazione necessita un certo tempo, almeno alcuni minuti, per via della grande quantità di calcoli richiesta alle macchine specializzate che la eseguono. Nel fare ciò il registro delle transazioni cresce a dismisura, sono necessarie macchine di calcolo sempre più potenti e questo comporta un consumo di energia sempre maggiore.

Per farsi un’idea dell’entità del consumo di energia necessaria, basti pensare che attualmente vengono effettuati circa 146 milioni di transazioni all’anno in Bitcoin, pari ad un fabbisogno energetico annuo di circa 124 TWh, con consumi di elettricità paragonabili a quelli di una nazione come la Svizzera o la Norvegia e in costante aumento. Sono ormai molti gli Stati di tutto il mondo che hanno un consumo di energia annuo minore rispetto all’attività di mining delle criptovalute.

Oltretutto 146 milioni di transazioni sono ben pochi rispetto ai cinquecento miliardi di operazioni annue del sistema finanziario tradizionale. Per raggiungere un numero di transazioni in Bitcoin paragonabile occorrerebbe una capacità di calcolo migliaia di volte superiore a quella attuale, la produzione mondiale di elettricità necessaria per il mining dovrebbe aumentare di ben 18 volte con un corrispondente aumento delle emissioni di biossido di carbonio.

Alla luce di quanto sopra, l’investimento in Bitcoin deciso da Tesla non è assolutamente in linea con la sua mission, che prevede di accelerare la transizione ecologica, e non è affatto giustificabile.

Foto: credit Dmitry Demidko / Unsplash

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